Articoli e interviste
Dalla rivista di attualità e cultura Excursus anno IV, n. 30, gennaio 2012
Il ritrovare se stessi nella fatalità del caso
di Maria Gerace
Affrontare un ostinato nemico in una lotta del tutto impari.
Un romanzo Edizioni Akkuaria
Con il romanzo Gabriel e il mostro lo scrittore cagliaritano Vittorio Frau mette da parte lo stile umoristico che ha contraddistinto le sue precedenti opere per dar vita a un romanzo dal carattere drammatico e dal sapore amaro, dando prova al lettore della sua grande versatilità. Il libro, vincitore nel marzo del 2009 della prima edizione del Premio Letterario Nazionale in onore del filosofo Fortunato Pasqualino, si presenta nella forma di un doloroso viaggio interiore che il tormentato Gabriel, affetto da un incurabile male e braccato dal mostro della depressione, è costretto ad affrontare per riaffermare se stesso.
Sullo sfondo della vicenda, tratteggiata con tinte sfumate, si delinea la città di Cagliari; una particolare attenzione viene riservata al vecchio pontile e alla spiaggia del Poetto, con la sua sabbia bianca, che accoglie e consola il protagonista nelle fasi di crisi acuta e che, allo stesso tempo, si trasforma in un “portale” aperto sulla dimensione dei propri ricordi. Il personaggio principale intraprende un cammino personale nei meandri della propria mente, nei luoghi in cui la memoria rende incerti i contorni e i volti delle persone amate, ma mantiene vivida la sensazione asfissiante del vuoto originatosi dal dolore, provocato dalla perdita.
Costretto a scrutare tra le pieghe della propria esistenza, in cerca di una chiave di lettura risolutiva per una serie di avvenimenti angosciosi che lo hanno segnato profondamente nel modo di rapportarsi agli altri, nonostante un carattere forte e battagliero e una rassegnata propensione verso l’accettazione della propria condizione, Gabriel è messo a dura prova dagli attacchi subdoli del mostro.
Il male oscuro, altro appellativo attribuito al proprio avversario, si annida nella sua testa pronto a manifestarsi negli attimi lasciati vuoti dall’azione; si insinua tra le pieghe della sua quotidianità, delle sue debolezze, riempie e colma i vuoti. Gabriel combatte per non lasciare libero alcuno spazio in cui possa agire il suo nemico, prova persino a «riempire con il fumo ogni pausa della giornata» pur di sfuggirgli, per non essere sottomesso e piegato nella volontà e nella determinazione delle proprie scelte.
La sua mente agitata precipita in un vortice senza fine, vittima di un vero e proprio “sequestro emozionale” che lo rende preda di un’incontrollabile paura di morire, comune negli attacchi di panico, e del terrore della prospettiva stessa degli attacchi futuri. «Pensi […] che non ci sarà alcun risveglio» spiega Gabriel, che cerca rifugio nei luoghi che possono recargli conforto e donargli la pace interiore, consentirgli di ristabilire un equilibrio precario, continuamente minacciato e spezzato nello spazio di un istante. Il tempo si condensa in un’unità in cui passato, presente e, inaspettatamente, futuro, si incontrano, svelando al lettore una nuova dimensione umana del protagonista.
Nel dipanarsi della trama è possibile scorgere il rifiuto di nominare il mostro col proprio nome e, dunque, di presentarlo nella sua veste ufficiale. La vicenda dell’uomo Gabriel ci viene narrata in terza persona dall’autore. Con grande coraggio, Frau ha utilizzato uno stile semplice e diretto per raccontarci una circostanza che altro non è che la messa in scena di un dramma umano.
Le problematiche trattate nel libro analizzano due condizioni che sono comuni a un numero, sempre più crescente, di individui del nostro tempo: cancro e depressione, entrambi malesseri in grado di fiaccare lo spirito e il corpo in maniera indelebile. In modo particolare, l’autore si sofferma sulla modalità di reazione del sesso maschile di fronte all’evento tragico: l’uomo in quanto tale, secondo un’atavica concezione, sembra essere colui che deve affrontare con distacco la circostanza della crisi, dimostrandosi forte a tutti i costi. Abbandonare tale visione significherebbe liberarsi, innanzitutto, di quegli schemi fissati a priori senza alcuna fondata corrispondenza reale ed eviterebbe tutta una serie di squilibri scaturiti dall’impiego di una reazione emozionale non adatta all’evento traumatico in atto.
Nella prima parte del volume ci viene presentato il mondo interiore di Gabriel e, senza giri di parole, la condizione irreversibile in cui egli versa. La caratterizzazione del personaggio principale è precisa e altrettanto immediata. «Sono un uomo solo e felice di esserlo», afferma con forza Gabriel, nella piena convinzione di poter bastare a se stesso. In uno dei frequenti flashback viene messo in risalto un atteggiamento schivo attraverso la descrizione fornitaci del rapporto speciale che il protagonista ha avuto con il proprio cane Rufus; quello che Gabriel prova nei confronti dell’animale è un amore assoluto, indiscriminato, candido, che rimarca ancor più la distanza che egli frappone fra sé e i propri simili. Un certo pessimismo cosmico contraddistingue il suo personaggio che rifacendosi a un’affermazione del filosofo Schopenhauer cita: «Chi non ha mai posseduto un cane, non può sapere che cosa significhi essere amato». Il nastro della sua memoria salta, a volte si inceppa, su una figura o sull’altra del proprio passato.
Nella seconda parte del libro, con grande stupore del lettore, Frau ci travolge con un incessante susseguirsi di eventi che porteranno l’uomo, provato e disilluso dalla vita, ad aprirsi alla speranza che un futuro possa esserci anche per chi è ormai al capolinea della propria vita. In un’appassionante successione di avvenimenti e d’incontri casuali, nuovi orizzonti si schiuderanno allo sguardo impressionato del recalcitrante Gabriel, nell’ultimo atto della propria vicenda umana.
Maria Gerace